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Il Riesame delle donne

 

 

Una storia ben triste, quella della ragazza che ha denunciato lo stupro nell’ascensore della circumvesuviana da parte di 3 giovani e la cui testimonianza è stata considerata “falsa”, tout court, senza tener conto quindi né del referto ospedaliero, né dello stato di salute mentale della giovane, che anzi viene considerato un elemento probatorio alla scarcerazione dei tre accusati.

07 Apr 2019 0 comment  

Giornali e social ci hanno raccontato di tutto sulla giovane, entrando, non si sa con quale ragione o diritto, nei particolari più intimi di una patologia che dovrebbe essere coperta da segreto professionale. Invece è stato sbattuto in prima ogni elemento del suo malessere, ogni parola adoperata nel denunciare la violenza. Addirittura, da un certo giornalismo spazzatura, i tre indagati e accusati, sono stati considerati “vittime”!

Cosa dicono i giudici...: poiché le telecamere riprendono la giovane con i tre ragazzi mentre escono dall’ascensore in atteggiamento di “apparente” tranquillità, tale atteggiamento finisce per “screditare anche l’eventualità di un dissenso sopravvenuto nel corso del rapporto”. L’uso dell’aggettivo apparente per definire lo stato di tranquillità dei 4 ci dà il segno di come si possa misconoscere, tradire, ignorare lo stato d’animo e la reazione di una donna che subisce violenza. E allora? Violenza c’è soltanto quando ci sono strida, urla, manifestazioni apparentemente probatorie? Non è noto ai giudici del riesame nessuna altra reazione a uno stupro? Non hanno mai sentito parlare dei meccanismi neurologici che si scatenano in chi è vittima di violenza? L’apparente consenso che serve a non far insorgere la paura? O la vergogna? Urlare, difendersi, ribellarsi è l’unico modo noto per definire stupro un rapporto sessuale? Allora sono messi male, ma proprio male!

Dall’altro lato c’è il referto ospedaliero, non quindi di un centro antiviolenza, che pure sarebbe stato rispettabilissimo, ma di un centro pubblico e istituzionale: in considerazione dell’osservazione psicologica della paziente, in base all’analisi del suo stato emotivo, si conclude che Tutti questi elementi desunti dal racconto della vittima, accompagnati da vissuti coerenti di disperazione ed ansia, indicano la presenza di uno stato traumatico correlato allo specifico evento di violenza sessuale, deponendo per una totale assenza di consensualità da parte della ragazza".

Assenza di consensualità dicono i medici, discredito di un eventuale dissenso anche in corso di rapporto dicono i giudici. Quale sia il motivo per cui così in fretta si è screditato un centro pubblico ospedaliero, e si è dato credito a immagini che nient’altro dicono se non di un comportamento che in persona con patologie neurologiche complesse non fanno altro che eventualmente confermare l’esistenza appunto di una patologia complessa, questo rimane assolutamente un punto interrogativo.

Oppure spostiamoci nel mondo che ci stiamo ritrovando intorno, e forse capiremo che è in atto un attacco forte a tutti i dissensi al mondo patriarcale e capitalistico. Il tentativo di sfascio di tutti i diritti della persona non può che passare attraverso la demolizione della forza delle donne, a cui sono politicamente ignoti principi quali il possesso, la proprietà, la violenza come ragione del più forte. Da una parte politici e ministri ci dicono che la donna va tutelata, protetta, bisogna acuire le pene per chi fa violenza e stalking, dall’altra, dal medesimo governo, nasce un Decreto Pillon, la partecipazione a un Convegno che teorizza la negazione di aborto e autodeterminazione della donna, oltre che della realtà di famiglie diverse e molteplici. E cosa ci dice tutto ciò, se non che hanno ben chiaro l’obiettivo, ma lo vogliono raggiungere fomentando il senso comune nella direzione di negare i diritti di autodeterminazione delle donne? Cosa ci dice il fervore di alcuni ministri nell’affermare l’assoluta necessità di legiferare per il bene delle donne, se non che si ritorna a considerare la donna come madre e moglie, come fattrice che si vuole mettere in condizione di non poter neppure difendere se stessa e i propri figli da uomini violenti che esibiscono il loro diritto alla paternità, senza se e senza ma. Si assiste al tentativo di ignorare i decenni che ci sono voluti per affermare che le donne vogliono difendersi da sole e ciò è possibile se ci sono leggi idonee, che nessuna donna ha bisogno di un padre/marito/padrone per affermare i propri diritti anche come desideri.

Per tutto quanto, dobbiamo mobilitarci, in privato, in pubblico, con quella o con quell’altra istanza, ma non abbandonare il campo prima di aver visto cadere tutti i tentativi di risospingerci indietro!

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