Un catafalco al centro della scena, Hermes inizia la narrazione e quando entra in scena Orfeo si apre il racconto della grande dichiarazione d' amore, disperazione e rabbia di un uomo che ci sembra ed è dei nostri tempi, dei tempi di sempre. Euridice è morta, così gli hanno detto, ma lui non ci crede. La sua donna è morta, morsa da una vipera, quella vipera scritta nelle pagine del suo destino. Come è possibile che sia stata morsa, come è possibile che lei non ci sia più, questo si chiede Orfeo, a cui oramai né la musica né il canto possono arrecare sollievo.
Orfeo si dispera, raccontando con dei flash i loro incontri, la loro vita, senza riuscire a intraprendere quella elaborazione del lutto che lo salverebbe. Ha bisogno di tempo, ha bisogno di vedere ancora una volta la sua Euridice.
E lei appare in scena, a consolare il suo amato, lei o ciò che è il ricordo nella mente dilaniata di Orfeo. Insieme, come un coro che si aggiunge al coro, rievocano, soffrono, rivivono, fino a che anche Euridice, come Hermes, implora Orfeo di guardare in faccia la realtà. Solo in questo modo Orfeo può salvarsi dall'inferno che metaforicamente attraversa per ritrovare Euridice.
Può riprenderla, riportarla in vita, gli ha detto Hermes, ma a una condizione, che non si volti a guardarla finché è nell'Ade, finché è ancora morta, se ci riesce... . Ma non può riuscirci, la Morte incombe reale, Orfeo la guarderà, e Euridice lo aiuterà a guardarla con rispetto.
Rispetto è la parola chiave di uno spettacolo che è un'unica voce che passa dal corpo di Euridice a quello di Orfeo. Nel racconto del mito classico Virgilio dice respexit per intendere il voltarsi indietro a guardare, un verbo che contiene sì la radice della parola rispetto, ma in che senso rispetto? Respicere significa anche guardare con attenzione, guardare davvero, intensamente, prendersi cura. Ecco, questo il rispetto che Euridice chiede al suo amato: rispettare la sua morte, lasciarla andare senza illusioni o disperazione, guardare attentamente, respicere appunto, la sua morte, vederla e accettarla. Euridice, chiedendo per sé rispetto, aiuta Orfeo a elaborare quel lutto.
Il testo di Valeria Parrella e la rielaborazione teatrale di Davide Iodice rendono moderno il mito di Orfeo e Euridice, nel senso che di sentimenti senza tempo qui si tratta: la perdita, il lutto, il dolore dell'assenza, l'incapacità dell'essere umano di capire la morte, di guardarla e rispettarla. La resa è perfetta dal punto di vista speculativo e intellettivo. La recitazione ci restituisce un'analisi filosofica profonda e significativa, meno coinvolgente dal punto di vista emotivo, ma credo che il senso di questa rielaborazione sia da cercare in altro, nella condivisione di un dolore universale.
Molto coinvolgente la musica e le scelte di suono. I cori recitativi ci riportano al significato primo del coro classico, a quella funzione di interlocutore del personaggio che la regia rende molto bene in Euridice e Orfeo, potendo sicuramente contare sulla maestria dei musicisti e degli attori. Ad alcune cadute di ritmo del testo e al tono calante di certi momenti recitativi di Orfeo e Hermes si contrappone una buona sceneggiatura, forse un po' avanguardia anni '70, e una scenografia dagli effetti scenici davvero sorprendenti.
Euridice e Orfeo – Valeria Parrella, Davide Iodice.
Teatro Bellini, dal 9 al 14 febbraio 2016.